Magenta

08.03.2020

Poco più in là c'era un campo chiamato dei Papaveri e delle Papere, per via dello stagno che era lì nel mezzo o quasi, e perché era pieno di vegetazione rossa tutto l'anno. In primavera e estate, per l'appunto, i papaveri, in autunno gli alberi caduchi d'oro e rubino e in inverno, a due spanne da terra, crescevano degli steli con su in cima delle sfere mobide e compatte, color magenta. Erano grandi quanto una pallina da tennis, completamente lisce e opache: non c'era segno di fessura dove le api potessero impollinare.

Eppure a fine anno, nella prima notte chiara di stelle, spuntavano tutte insieme, per poi sciogliersi tre mesi dopo in un liquido denso, che colava lento lungo lo stelo, fino al suolo. Si ipotizzava che quel fluido, covato nel caldo della terra durante le successive stagioni, venisse fecondato dalla stessa luce astrale. Nascevano già perfettamente tonde e progredivano nel giro di poche ore fino alle dimensioni dette, identiche nei tempi, misure e fattezze.

All'alba del 21 dicembre il campo era a macchie magenta, che si riflettevano nello stagno insieme alle nuvole.

Il giambardasso dalle lunghe penne, arrivato al campo, si posò su un ramo e le osservò. Il piumaggio virava sul cobalto e le ali estese misuravano una sessantina di centimetri, da cui il nome della specie. Era molto raro vederne uno in quei luoghi, essendo diffuso soprattutto a sud. Il becco affusolato e il corpo longilineo gli donavano, insieme al colore, un aspetto particolarmente regale. Scrutò le sfere una a una e puntò quella che gli pareva più bella, benché fossero tutte uguali. Con un rapido volo le fu sopra e, non essendo un'ape e non sapendo di non potere, le entrò col becco e se ne andò.

L'evento, mai registrato prima, restò anch'esso nel silenzio delle cronache poiché a quell'ora nessuno lo vide.

E fu così che si arrivò alla primavera. Lo stagno ammorbidì le acque e si fecero turgide le prime gemme. Le sfere iniziarono a perdere compattezza e a colare lente, graduali, fino a estinguersi; in ultimo gli steli. I prati stropicciati dai bambini resistettero verdi fino all'estate, per poi cedere sempre più alle suole di gomma e al riardere dei raggi.

Ma fu solo a settembre che, al rientro da scuola, allungando fino allo stagno per vedere se c'era ancora qualche papera, lo trovò. Pareva un volano sperso tra le foglie, ma un poco più grande, con la base tra il fuxia e il rosso e le piume bluastre. Raccoglierlo le venne d'istinto. Lo mise nel caldo della felpa e senza porsi troppe domande continuò il suo cammino. Le parve a un tratto anche di udire il verso del giambardasso in lontananza. Ma si ricordò che, come aveva studiato a scienze, quegli uccelli vivono a sud.

Marica Romolini - Cultura, pensiero e società
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